

Lungo il mio percorso esistenziale ad un certo punto ho scoperto le orme del lupo e, seguendole, mi sono trovata su sentieri sconosciuti e imprevedibili, finché, attraverso diverse fasi, sono arrivata al momento presente. All’inizio fu una semplice e romantica infatuazione per questo animale così apparentemente vicino eppure così lontano e inarrivabile,
affascinante e misterioso, che mi fece sentire la necessità di difenderlo
dalla forza distruttrice dell’uomo; però, man mano che studiavo da profana i comportamenti e l’habitat del lupo, approdai a un maggiore realismo dovuto alla consapevolezza delle problematiche ad esso legate. Non ho preparazioni scientifiche che mi supportino, ma solo la passione per la Natura e per le mie montagne. Continuo a sognare, quello sì. Sogno una coabitazione pacifica e un equilibrio, tra l’uomo e questo grande predatore, improntato al rispetto sia dell’ecosistema che del lavoro umano. A questo pensavo mentre, sul sellino posteriore della moto, lasciavo che il mio compagno di vita e di avventure mi guidasse lungo la strada verso le Alpi Marittime, tra piccoli paesi che contendono alla montagna lo scarso spazio abitabile. Le tante cime, che creano un confine alto e spesso tra il Piemonte e il mare, sono estremamente verdi e offrono l’ideale rifugio ai lupi che, dagli Appennini, risalirono verso nord negli anni ’90 e che alla fine vi si insediarono nuovamente ponendo fine alla loro sparizione causata dalle persecuzioni e dalla caccia indiscriminata del secolo passato. D’inverno sono zone in cui nevica molto proprio a causa dell’aria mite che arriva dal mare che si scontra con quella fredda del nord e d’estate i pascoli sono rigogliosi, per cui sono molti i pastori che vi portano in alpeggio il loro bestiame.
In circa due ore, dalla pianura di Torino e dalla città affollata e calda,
arriviamo a Chiusa di Pesio, dove si trova la sede del Parco Naturale del Marguareis, ora accorpato con il Parco Alpi Marittime in un unico grande Ente, uno dei partner che partecipano al Life WolfAlps Project. Un breve viaggio che rappresenta però per me il raggiungimento di una meta dopo un lungo cammino iniziato molti anni fa, durante il quale ho conosciuto molte persone appassionate che lavorano e dedicano la propria vita a questi animali, tra cui i soggetti del Progetto Life WolfAlps. Salendo, curva dopo curva, osservo le creste e i boschi che costituiscono l’habitat naturale del Canis Lupus Italicus e ne immagino i recessi selvatici e imperscrutabili.
All’arrivo, togliendoci il casco, ci accoglie l’aria fresca e profumata di
erba appena tagliata. Alzando gli occhi noto che l’edificio ha l’aspetto di un rifugio montano: gli uffici in cui Erika e Mattia ci aspettano sono
sicuramente diversi dagli uffici tutto tecnologia e cemento della città. Qui si respira il profumo del legno e della passione per la Natura. Foto di piante e animali selvatici appese un po’ ovunque. Silenzio e pace circostanti.
Il LWA(Life WolfAlps) è un progetto europeo nato nel 2013, che ha come obiettivo la realizzazione di azioni coordinate mirate alla conservazione e alla gestione del lupo che vive sulle Alpi. E’ cofinanziato dall’Unione Europea nell’ambito di un progetto più ampio dedicato alla Natura e alla biodiversità. Al progetto partecipano una decina di partner, tra cui soprattutto gli enti di gestione dei vari parchi nazionali distribuiti lungo l’intero arco alpino, da ovest a est, fino a sconfinare nella Slovenia.
Tutti insieme lavorano per creare strategie mirate soprattutto a ridurre i conflitti e a far convivere il lupo e le attività tradizionali dell’uomo.
Erika e Mattia ci accolgono con calore e subito si crea quella relazione
schietta e sorridente che c’è tra persone che hanno una comunione di
intenti. Ci sediamo attorno a un tavolo e in modo informale e amichevole inizia la mia intervista. Le domande che faccio nascono soprattutto dalla mia curiosità di capire e conoscere meglio che tipo di lavoro c’è dietro al progetto dedicato al lupo delle Alpi e alla sua salvaguardia. Mi interessa conoscere le persone che attivamente si muovono e lavorano sul campo, con quali risorse e quali prospettive, per poi poterlo raccontare a chi vive dall’altro capo del mondo.
Innanzitutto, dopo le presentazioni, emerge il primo e più importante
problema: quello di una corretta ed esaustiva informazione. Il lavoro
accurato e scientifico dei ricercatori può essere facilmente cancellato da
una notizia diffusa con leggerezza dai giornali o da altri mezzi di comunicazione. Spesso l’informazione risulta poi essere falsa, ma dal momento che viene pubblicata, il danno è fatto. Nelle vallate in cui il lupo è tornato, per esempio, circola la convinzione del tutto infondata che il lupo sia stato reintrodotto dall’uomo. Non è vero! E su questo e per questo, chi si occupa di “Comunicazione e didattica” per il LWA sta facendo un ottimo lavoro.
Ma passiamo all’intervista vera e propria:
Vi chiederei cortesemente una breve presentazione personale.
Mattia Colombo – Sono un ricercatore e, come mi piace definirmi, un wolf biologist. Mi occupo di coordinare il monitoraggio dei lupi nella provincia di Cuneo da parte di tutti i possibili operatori preposti, come i guardiacaccia, i guarda parchi, il corpo forestale, ecc. Inoltre svolgo io stesso attività di ricerca sul campo. Ho iniziato nel 2001 in Valle Pesio
come volontario, poiché dal 1999 nel parco era già tornato uno dei primi tre branchi di lupi (gli altri due si insediarono uno in Francia, nel Mercantour, e l’altro sulle Alpi della provincia di Torino). Poi con la dott.ssa Marucco ho preparato la mia tesi universitaria sul lupo. Ho completato gli studi con un master in Svezia sul lupo scandinavo.
Erika Chiecchio – Sono una naturalista e lavoro soprattutto in ambito di educazione ambientale e didattica. Mi occupo di turismo, manifestazioni, didattica e sono il grafico dell’ente dove in tutto siamo 53 dipendenti.
Per quanto riguarda l’attività di divulgazione e didattica sul lupo, quest’anno io e i miei colleghi abbiamo organizzato incontri con circa 1500 ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori. Abbiamo cercato di dare loro informazioni generali attraverso il gioco e la sperimentazione, spiegando come avviene il lavoro sul campo. Per i ragazzi delle scuole superiori è anche prevista una parte teorica e scientifica. Inoltre abbiamo presentato alle classi di studenti alcuni degli articoli apparsi sui giornali, per analizzarli e svelare le bufale relative al lupo. A questo proposito a settembre sarà organizzata una giornata di formazione dedicata anche ai giornalisti, perché evitino di cadere nei luoghi comuni del lupo cattivo e feroce. Sono convinta che l’attività di comunicazione vada sviluppata soprattutto con i bambini e con le nuove generazioni, per creare una nuova cultura sostenibile e favorire a lungo termine una buona convivenza pacifica tra i lupi e gli uomini di queste vallate.
In quale misura la burocrazia, con i relativi problemi legati ai
finanziamenti, rappresenta un ostacolo all’attività e alla funzionalità del Progetto?
Mattia – Le istituzioni richiedono che siano fatti studi scientifici, che i dati raccolti siano esatti, che il nostro lavoro sia fatto con efficienza e
che presenti una credibilità che a volte però è scarsa per la mancanza di un monitoraggio sistematico. Infatti per ottenerlo sono necessarie tecniche sofisticate che utilizzano l’analisi del DNA, e poi molto lavoro in laboratorio, sul campo e in ufficio. Tale lavoro è in generale da gestire con energie finanziarie notevoli, ma anche con studio, competenza e aggiornamenti costanti sulle nuovissime tecnologie, che il LWA implementa in parte.
ln Italia ha destato molte critiche il nuovo “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” predisposto dall’Unione Zoologica Italiana, che prevede l’uccisione del 5% dei lupi esistenti ogni anno e che sta per essere approvato. Che cosa ne pensate?
Mattia – Noi come ricercatori del LWA abbiamo contatti col Ministero dell’Ambiente ma non siamo inclusi nel processo decisionale. Le nostre attività, che noi cerchiamo di garantire al meglio, sono scientifiche e tecniche, ma la decisione finale sarà politica. Al momento c’è molta confusione, nessuno è in grado di spiegare come funziona. Alla bozza iniziale di questo Piano hanno partecipato tutte le associazioni di categoria nazionali e l’Unione Zoologica Italiana. Il Piano di azione nasce dall’esigenza di regolamentare la gestione delle specie in via di estinzione. Il punto delle deroghe, cioè dei previsti abbattimenti, è però solo uno dei punti in cui si articola il Piano. Bisogna dire che anche gli altri sono altrettanto importanti: essi sanciscono tutte le azioni di coordinamento che le regioni e gli enti dovrebbero fare. Il Piano in forma definitiva non è ancora disponibile . Ma gli abbattimenti in realtà non potranno essere indiscriminati: si tratterà di decidere come e perché potranno essere attuati e sarà una cosa molto complessa, anche perché sono da giustificare a livello europeo e a norma di legge, quindi devono avere una base estremamente scientifica. Nel Nord America ci sono piani d’azione simili. Bisogna tenere conto anche del fatto che il lupo ad un certo punto, forse tra molto tempo, potrà essere declassato come specie a rischio (Endangered. IUCN D).
Brunella – Pare stia accadendo qualcosa di simile anche a Yellowstone, dove i cacciatori lamentano un aumento dei branchi di lupi, quindi un aumento delle loro predazioni , che lasciano i “poveri” cacciatori privi dei loro tradizionali trofei….
Mattia – Anche qui i cacciatori si lamentano. Il problema è che non riusciamo a ribattere con dati scientifici perché in Piemonte non è sapere con esattezza quanti sono gli ungulati, poiché non si riesce a standardizzare il monitoraggio. Sugli animali domestici, invece, la situazione è differente; infatti c’è stato un censimento del circa 98% degli allevamenti in alpeggio in Piemonte, anche per poterli dotare di cani da guardiania e per mantenere tra loro e i lupi un livello di conflittualità sostenibile.
Rapporto con gli allevatori – E’ possibile fare cultura e corretta informazione anche con gli allevatori?
Erika – Di sicuro non si potrà mai sperare che l’allevatore ami il lupo ma dobbiamo accertarci che riceva gli aiuti necessari per convivere, soprattutto nel lungo termine, e per ottenere questo ci vuole un impegno costante delle politiche regionali e nazionali.
L’informazione dedicata agli allevatori è prevista dal LWA. Questa estate abbiamo organizzato 10 visite guidate agli alpeggi, per sensibilizzare i pastori e gli escursionisti. Da questi incontri abbiamo ottenuto, da parte degli allevatori, risposte differenti: alcuni ci hanno detto che il lupo non è un problema, grazie all’uso che fanno di recinti elettrificati e cani, altri, invece e nonostante ciò, si lamentano perché hanno subito delle predazioni.
Mattia – Per i pastori l’arrivo del lupo nella loro zona è un trauma serio perché devono rivoluzionare la routine gestionale della loro azienda. Mi è capitato, quando andavo ad aiutare i pastori a imparare a usare i sistemi deterrenti, di vergognarmi di essere un “lupologo”, vedendo qualcuno che piangeva perché aveva subito degli attacchi alle sue bestie e quindi perdite e danni in termini di lavoro e di soldi. Ma noi crediamo nel nostro progetto, che ha l’intento anche di supportare le attività lavorative per preservare, alla fine, insieme allevatori e lupi. In definitiva siamo noi, in quanto ricercatori sul campo e facenti parte del progetto di conservazione del lupo, che dobbiamo avere l’intima consapevolezza e convinzione che si può e si deve proseguire per questa strada.
Alla luce di tutto ciò, che cosa ci si deve aspettare dal Piano di Gestione, che al momento è fermo?
Erika – Sul piano comunicativo non ci si può ancora pronunciare.
Mattia – Secondo me è necessario comunque avere un piano d’azione, cioè dei paletti entro cui muoversi che abbiano un supporto scientifico forte e reale. Personalmente nutro fiducia nelle figure professionali che stanno seguendo l’iter dal punto di vista scientifico, in quanto si tratta di ricercatori con grande esperienza alle spalle anche a livello legislativo in ambito europeo. Tuttavia sono convinto che le decisioni che saranno prese saranno politiche e probabilmente scontenteranno tutti, perché è la conseguenza ovvia di un tentativo di far convergere in un solo punto le esigenze più estreme e contrastanti degli animalisti e dei cacciatori.
Comunque spero e mi aspetto che tutte le parti in causa, politici compresi, si documentino realmente perché il rischio è che manchi alla fine la preparazione tecnica per prendere le decisioni finali. Quindi è necessario che leggano i report, che partecipino agli incontri tecnici, che studino e si consultino con esperti e studiosi. Per esempio, non si tiene abbastanza in considerazione il fatto che noi del LWA, con i francesi d’oltre confine, stiamo studiando quella che è la terza popolazione di lupi per importanza d’Europa, insieme a quelle della Germania e della Svezia. Da parte dei politici è essenziale ascoltare i pareri tecnici e fare scelte consapevoli perché alla fine anche loro dovranno assumersi le proprie responsabilità.
Al Piano d’Azione è legato anche il problema del bracconaggio e delle uccisioni illegali tramite trappole o bocconi avvelenati?
Erika – Certamente sì. Il ritrovamento di lupi uccisi per motivi antropici è sanzionato ma anche legalmente scalato dalla eventuale quota dei lupi da abbattere annualmente prevista dal Piano. Quindi, fintantoché rimarranno così tanti i ritrovamenti di lupi uccisi dall’uomo, gli abbattimenti programmati dal Piano non potranno mai essere applicati.
A un piano di gestione del lupo in Italia credo sia anche fortemente legato il problema degli ibridi.
Mattia – Certo! Legalmente cosa ne facciamo di questi ibridi? Da noi in Piemonte per ora non ne abbiamo: lo sappiamo perché grazie al DNA abbiamo la possibilità tramite l’ISPRA di Bologna di campionare molto precisamente le fatte ritrovate. Ma in Toscana e sugli Appennini in genere il problema ibridi è forte. Il fatto è che innanzitutto non è sempre facile distinguere un lupo da un ibrido, alle volte solamente tramite il DNA e inoltre, a livello legislativo, ci sono provvedimenti decisamente differenti a proposito della gestione dei cani o dei lupi.
Brunella – Aggiungerei che gli ibridi non rappresentano solo il rischio della perdita del patrimonio genetico del lupo, ma sono un problema che ha conseguenze anche sulla stessa politica di gestione del lupo. Per esempio, che cosa capita se un allevatore lamenta una predazione da parte di un lupo che poi invece risulta essere un ibrido…?
Mattia – Generalmente vengono risarciti i danni provocati da “Canidi” che includono sia i danni da lupo che da Cane. Quindi in realtà non cambia. In passato, in una regione con dei protocolli che prevedevano solo risarcimento dei danni da lupo è successo di aver avuto dei problemi nel risarcimento.
A questo proposito, quali sono le differenze nella gestione del lupo
sulle Alpi e sugli Appennini?
Mattia – La recente ricolonizzazione da parte del lupo sulle Alpi è avvenuta gradualmente, quindi abbiamo avuto tempo per organizzarci, quindi, sicuramente una prima differenza è che in Piemonte, con il progetto LWA, cerchiamo di creare un coordinamento a livello regionale e interregionale.
Negli Appennini invece la gestione è più articolata e varia a seconda delle zone. Noi abbiamo in generale più neve e ci è più facile monitorare i lupi presenti in inverno, differenze orografiche e capacità di reperire risorse a livello istituzionale, poi, fanno il resto. Certamente gli Appennini sono anche più vasti e per forza c’è un approccio differente. Nel Parco Nazionale d’Abruzzo e in Majella c’è magari un po’ più di tolleranza da parte degli allevatori però in generale, anche se sull’Appennino il lupo non è mai scomparso del tutto, gli allevatori di quei territori non sono amichevoli.
Nel grossetano per esempio sono molto arrabbiati e si sono verificati casi di ritrovamenti di lupi uccisi e con le teste tagliate, atti da considerarsi quasi come rappresaglie.
Ora veniamo a un approccio al lupo un po’ più culturale e meno scientifico. Come vengono considerati da queste parti?
Erika – Nel mio lavoro facciamo vedere ai bambini le tracce lasciate dai lupi, facciamo capire loro come funziona la catena alimentare e spieghiamo perché sono tornati. A questo punto abbiamo reazioni diverse. I bambini che arrivano dalla città non hanno pregiudizi, sono come un foglio bianco su cui scrivere: gli raccontiamo la vita del branco, che nella loro immaginazione richiama quella della famiglia, la dispersione dei giovani, rivisitiamo la fiaba di Cappuccetto Rosso, e subito ci rendiamo conto che su di loro abbiamo più presa, ottenendo quasi sempre reazioni positive. Quelli che arrivano da queste vallate invece hanno atteggiamenti meno tolleranti; sia chiaro che nei nostri incontri noi non cerchiamo mai di fare amare il lupo, ma solo di far capire che il lupo è tornato in modo naturale , smontiamo le bufale che parlano di un suo reinserimento da parte dell’uomo, spieghiamo
che è un grande predatore utile per mantenere sani i branchi di animali selvatici che costituiscono le loro prede. Ecco che allora, quando i bambini capiscono che è importante la sua presenza e che non ne avremo mai un’invasione a centinaia, siamo ripagati con un feedback positivo in termini di lavori fatti a posteriori, che poi ci mandano dalla scuola: belle storie inventate, disegni e finali di fiabe modificati. Con i ragazzi dell’Istituto Agrario, poi, c’è stato un approccio ancora diverso: abbiamo chiesto di andare per parlare non dei lupi ma dei problemi degli allevatori e dei possibili sistemi di prevenzione; abbiamo portato con noi anche i cani antiveleno e alcuni degli articoli da leggere che presentavano notizie false. In verità noi non vogliamo mai convincere ma solo informare. Anche in questo caso abbiamo avuto un buon feedback, e l’abbiamo capito grazie alla tecnica dei bigliettini da completare, distribuiti all’inizio degli incontri con la scritta “Secondo me il lupo…” su cui i ragazzi hanno scritto commenti molto negativi, ma poi, ripresentandoli alla fine e dopo le nostre spiegazioni, abbiamo ottenuto risposte molto più favorevoli, così abbiamo capito che quel che manca è sempre e soprattutto una corretta informazione.
Secondo il documentario americano “Medicine of the Wolf” il lupo è la medicina che può salvare l’umanità, perché è un animale dal comportamento simile all’uomo e in più è sensibile e capace di provare forti emozioni. Che cosa ha da insegnare a noi il lupo?
Erika – I bambini rimangono colpiti quando apprendono l’importanza della vita sociale del branco: la collaborazione, la cura della prole, la territorialità. Quando spieghiamo questi comportamenti del lupo, i bambini li paragonano subito ai loro e fanno dei parallelismi, spesso ad esempio con il bullismo. Io non avevo mai pensato che parlare del lupo ai ragazzi potesse avere dei risvolti relazionali e sociali: capita spesso di esaminare con loro i comportamenti negativi attribuiti al “branco” dei ragazzi definiti “bulli”, per arrivare agli esempi positivi offerti invece dai branchi di lupi, quale la solidarietà e la lealtà. Nella nostra società, purtroppo, c’è tutta una terminologia legata al lupo come elemento negativo. I giornalisti continuano a citare il lupo cattivo come simbolo abbinato a notizie di cronaca nera. Ma ora sta nascendo un tentativo di rivalutazione che noi in particolare cerchiamo di suscitare con l’educazione soprattutto delle nuove generazioni.
Mattia – Personalmente quello che il lupo mi ha insegnato è a tenere duro, non mollare. E’ incredibile come riesca a sopravvivere nonostante le barriere e le difficoltà oggettive poste dalla natura e poi anche dall’uomo. E’ inoltre un ponte che ci lega alla nostra montagna: per me è l’emblema della natura selvaggia che non manda via l’uomo da questi luoghi ma che anzi me li fa comprendere più in profondità e mi attira. Il lupo mi affascina non per motivi idealistici e romantici. Sono estremamente più realistico e so che il branco può essere anche crudele quando ad esempio uccide un lupo estraneo, quindi sono convinto che non è tutto positivo. Però per quanto ci sforziamo di comprenderlo, è inafferrabile e rimane misterioso. Non so quanti chilometri ho fatto nella tracciatura del lupo, ma in tutti questi anni l’avrò visto solo una quindicina di volte.
Brunella – Particolari ricordi?
Mattia – Sì, molti. Quando per caso non si sono accorti che io ero acquattato in un cespuglio: ho sentito un rumore, mi sono girato e ne ho visti tre a poca distanza da me. Un altro è di quando per la prima volta hanno risposto al mio wolf howling. Ma mi preme dire che, a parte gli avvistamenti, quello che il lupo mi insegna e anche mi affascina di più è la quotidianità di questo mio lavoro, è il rapporto che si viene ad instaurare con le persone.
Quale uso dei deterrenti si sta facendo? Funzionano?
Mattia – Legato all’uso dei deterrenti c’è il problema dell’assuefazione. Il mio lavoro è anche quello di testare i sistemi di prevenzione: qui si usano le recinzioni elettrificate, i cani da guardiania, le bandierine (fladry), i dissuasori acustici con voci umane registrate. I lupi, però, sono intelligenti e dopo un po’ capiscono cosa sono e non li temono più e quindi si è costretti a cambiarli. Il problema oltretutto è che ogni regione o vallata ha differenze locali e orografiche . Quindi, nonostante noi abbiamo avuto un’esperienza positiva in un posto, non possiamo credere di poterla esportare a scatola chiusa e di garantirne automaticamente la riuscita in un altro luogo. L’ambiente, le abitudine della conduzione agli alpeggi… tutto deve essere poi rimodulato.
Noi abbiamo 15 anni di esperienza preziosissima in Piemonte, questo sì, è l’unico bagaglio che possiamo portarci dietro e che può servirci per contribuire a trovare strategie di convivenza pacifica tra uomini e lupi sulle nostre montagne.
Con queste ultime considerazioni, la mia intervista è terminata. Dopo aver salutato e ringraziato i miei ospiti, sulla strada del ritorno, mi colpisce la lucida consapevolezza che è solo tramite la conoscenza scientifica e approfondita dell’ambiente che ci circonda, che si può sviluppare il rispetto per le creature che lo popolano. Sono certa che dall’esemplare opera di informazione e di divulgazione che il LWA sta facendo presso le nuove generazioni possano nascere interessi e passioni che in futuro serviranno a migliorare un rapporto che dura da millenni tra uomini e grandi predatori.
Come dice Jim Brandeburg nel film documentario “Medicine of the Wolf”, è stato il lupo che circa 14.000 anni fa scelse e decise di avvicinarsi all’uomo e di farsi addomesticare. Ora è l’uomo che deve fare il passo inverso e dare al lupo la possibilità di sopravvivere in quanto uno degli animali chiave per il mantenimento dell’ecosistema, in modo che continui a vivere nel suo habitat, condividendolo in modo sostenibile con l’uomo, che ne è ugualmente ospite e non padrone assoluto. Se non si capirà in tempo che i lupi, come gli altri grandi predatori all’apice della catena alimentare, rappresentano la salvezza, per l’umanità non ci sarà un futuro.
Brunella Pernigotti
Immagine di copertina: “Lupo Ormea_ Centro Faunistico Uomini e Lupi_ photo credit Fulvio Beltrando”
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